
Smartphone, forni a microonde, radiosveglie, segreterie telefoniche, reti WIFI, laptop, cavi ad alta tensione. Nelle nostre case e nei nostri uffici ormai siamo invasi da dispositivi tecnologici sempre più sofisticati, che se da una parte migliorano sostanzialmente la qualità delle nostre vite, dall’altra provocano un’esposizione continua ai campi elettromagnetici (CEM) non ionizzanti. Una sorta di “elettrosmog” dal quale nessuno può sfuggire, compresi i bambini.Ci sono però delle piccole accortezze che ognuno di noi può prendere per ridurre l’esposizione di questi campi e quindi gli effetti, a partire da una accurata progettazione della struttura dei dispositivi fonte di CEM nei luoghi dove passiamo più tempo, dall’ufficio alla casa.Così la SIMA – Società Italiana di Medicina Ambientale – ha redatto un apposito decalogo con una serie di consigli pratici a cui ognuno di noi può attenersi quotidianamente (“Elettrosmog. 10 consigli utili per ridurre l’esposizione all’inquinamento elettromagnetico”).Prima di passare alla lista dei suggerimenti, è importante però capire bene alcune cose: i campi elettromagnetici sono presenti ovunque nell’ambiente e sono generati da sorgenti sia naturali sia artificiali. I parametri fisici importanti da prendere in considerazione sono la frequenza (Hertz); il livello di potenza (Watt o dBm); la distanza dalla sorgente; la durata dell’esposizione.Semplificando il più possibile, i principi sono pochi e abbastanza lineari: più è elevata la potenza del CEM, maggiore è la sollecitazione sul corpo umano; maggiore è la distanza che l’onda elettromagnetica deve “percorrere”, maggiore è la potenza che occorre fornire (è come se per farci sentire ad una distanza maggiore alzassimo la voce); più si è lontani dalla sorgente minore è l’esposizione ai campi elettromagnetici irradiati; il tempo di esposizione ai campi elettromagnetici è un moltiplicatore degli effetti inquinanti.In realtà i possibili effetti dell’elettrosmog sono ancora in fase di studio e i risultati ottenuti dalle varie ricerche scientifiche provocano un acceso dibattito. Tuttavia nel 2011 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato i campi elettromagnetici non ionizzanti come cancerogeni di gruppo 2B, ovvero l’agente è un possibile cancerogeno per gli esseri umani
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