Due mesi fa il Comune di Quarto, 40 mila abitanti alle porte di Napoli, balzò ai disonori delle cronache perché si era scoperto che l’anno scorso il ras locale, a piede libero ma ritenuto vicino alla camorra (comandava addirittura il business delle pompe funebri), aveva fatto votare per un candidato dei 5Stelle, Giovanni De Robbio, dopo che la lista preferita dal clan, quella del Pd, era stata esclusa; e che De Robbio, una volta eletto consigliere comunale con 955 preferenze, aveva provato a ricattare la sindaca Rosa Capuozzo, minacciando rivelazioni su un sottotetto abusivo nella casa del suocero se non avesse affidato la gestione del campo sportivo a un amico degli amici. Un mese dopo le prime voci su De Robbio e prima che fosse indagato dalla Dda di Napoli, i 5Stelle l’avevano espulso; poi chiesero le dimissioni della Capuozzo per non aver denunciato il ricatto, che lei peraltro negava di aver subìto, dimostrando di non avervi ceduto; infine espulsero anche lei perché rifiutava di andarsene.Per tre settimane Quarto divenne la capitale d’Italia, anzi d’Europa, con aperture quotidiane di giornali e tg, farciti di decine di dichiarazioni di esponenti del Pd, ai quali non pareva vero di poter dimostrare non di essere onesti (non esageriamo), ma che anche il M5S è disonesto. Di chiedere le dimissioni non solo della Capuozzo (poi furbamente difesa da Renzi), ma pure di Fico, Di Maio e tutto il Direttorio. E di trascinarli in Antimafia per torchiarli a dovere.Più prudentemente, avendo Dell’Utri e Cosentino in galera, FI sorvolò. Noi facemmo timidamente osservare che innalzare di botto gli standard etici fino a trasformare quel caso locale in uno scandalo nazionale, poteva rivelarsi un boomerang per il Pd, con le sue decine di parlamentari e amministratori locali condannati o imputati o indagati. Infatti non avevamo ancora finito di scrivere e già si scopriva che il sindaco Pd di Reggio Emilia e la moglie avevano comprato casa da un prestanome della ’ndrangheta.
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