
Parigi, Londra, Bruxelles. Lungo quest’asse principale si muove la prima linea del jihadismo europeo. Che trova poi in Germania e nei Paesi scandinavi il suo sottobosco e nei paesi che affacciano sul Mediterraneo, in particolare i Balcani, le retrovie operative e le linee di rifornimento. Armi, ma anche uomini e soldi.Una rete, quella europea, che si è sviluppata in decenni di penetrazione lenta ma inarrestabile di elementi salafiti e wahhabiti, le due correnti del fondamentalismo sunnita che basano la propria filosofia sull’abbattimento dei governi secolari in favore di uno stato retto dalla legge islamica, le quali si sono abilmente insinuati tra le maglie aperte dall’approdo disorganico e incontrollato degli immigrati nel continente, concentrati in massima parte proprio in questi paesi, oltre che in Germania.Un network che si è alimentato di generose donazioni dall’estero, grazie alle quali i fondamentalisti hanno potuto istituire fondazioni che sfuggono al fisco ma attraverso cui hanno comunque potuto erigere centri sociali e di accoglienza come luoghi di preghiera. E che si è avvantaggiato dell’assistenzialismo del welfare locale, grazie al quale le nuove generazioni d’immigrati hanno potuto vivere con dignità e proliferare, a seconda delle politiche migratorie di ciascun paese.L’inganno del multiculturalismoDi ciò hanno beneficiato milioni di “nuovi” cittadini europei un tempo stranieri, accolti senza sosta e tali che oggi incidono per quasi il 12% sull’intera popolazione del Belgio, per il 10% nel Regno Unito e per il 7% in Francia.
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