Paradisi fiscali: la guida completa





Bestie nere del Fisco, ma invidiati per la capacità di attrarre capitali dall’estero, i paradisi fiscali finiscono non di rado nel mirino dell’opinione pubblica.Sono quei paesi che hanno deciso di tenere le tasse a un livello molto basso o addirittura nullo e che mantengono una particolare riservatezza sui nomi dei depositanti e dei titolari di società offshore.E nei casi più estremi si rifiutano di collaborare con le autorità degli altri paesi, proteggendo in questo modo non solo gli evasori, ma anche criminali come terroristi, mafiosi e trafficanti di droga.Come funzionanoI paradisi fiscali sono paesi che hanno adottato regimi fiscali molto poco trasparenti e che, di fatto, incoraggiano l’evasione.I “tax haven”, per dirla all’inglese, sono spesso isole o territori molto piccoli e non di rado si tratta di posti molto belli (come le isole caraibiche): il numero limitato di abitanti permette di ridurre al minimo il carico fiscale, condizione che allo stesso tempo li trasforma in una destinazione privilegiata per gli investimenti diretti esteri da cui dipende il loro sviluppo.I paradisi fiscali sono anche paesi in cui vige il segreto bancario: gli scambi di informazioni con il fisco e le autorità tributarie di altre nazioni sono rari. Che significaUn Paese è considerato dal Fisco italiano un paradiso fiscale se finisce nella black list, la lista nera che è aggiornata ogni anno dal Mef e dall’Agenzia delle entrate.L’Amministrazione Finanziaria ha l’obbligo, infatti, di monitorare tutte le attività economiche intercorse tra le imprese italiane e le imprese domiciliate in questi paesi a fiscalità privilegiata per contrastare il fenomeno delle frodi fiscali internazionali.La black list italianaNon esiste oggi, però, una lista unica dei paesi sotto osservazione del Fisco, perché in realtà sono ben tre: una per i residenti all’estero (gli Stati privilegiati ai fini Irpef), una per le società controllate e una per la deducibilità dei costi delle imprese.La situazione, insomma, è più complicata di quello che sembri, perché alcuni Stati compaiono in una lista ma non in un’altra.Dal 2016, inoltre, non è più necessario indicare separatamente in dichiarazione i costi che derivano da operazioni con imprese e professionisti di paesi a fiscalità privilegiata: in altre parole dallo scorso anno è più facile fare affari con società offshore.La lista Ue e dell’OcseLa situazione poi si ingarbuglia se consideriamo anche le black list compilate da Bruxelles e, a livello globale, dall’Ocse.La Commissione europea ha già iniziato l’iter per procedere alla definizione di un elenco dei paesi non cooperativi (la cosiddetta black list europea 2017): l’obiettivo è aiutare i Paesi membri Ue nella lotta all’evasione e all’abuso dell’arbitraggio fiscale.Quanto all’Ocse, il G20 ha chiesto entro fine 2017 una nuova lista nera dei “Paesi non cooperativi” in tema di evasione fiscale, anche perché dal 2009 non esiste più una black list dei paradisi fiscali: gli ultimi tre paesi “non collaborativi” (Andorra, Liechtestein e Monaco) sono usciti nel 2009.L’Ocse aveva individuato 40 paradisi fiscali nel 2000, secondo i criteri adottati nel 1998. Tutti i paesi finiti nel mirino hanno poi dichiarato che avrebbero migliorato il livello di trasparenza e lo scambio di informazioni a livello fiscale.I paradisi in EuropaSulla carta, quindi, i paradisi fiscali non esisterebbero più. Un discorso che vale soprattutto per l’Europa, anche se alcuni Stati del Vecchio Continente hanno regimi fiscali talmente attraenti da renderli tali.Un recente report di Oxfam (una ong britannica) ha contato 15 paesi tra quelli più aggressivi sul fronte della concorrenza fiscale per le imprese, di cui ben quattro della Ue: Olanda, Irlanda, Lussemburgo e Cipro.In Europa (ma fuori dalla Ue) si ricorda poi un ex paradiso fiscale come la Svizzera che a partire dal 2018 condividerà con il fisco dei paesi Ue le informazioni sui clienti che hanno depositato denaro nei forzieri delle banche elvetiche.I microstati europeiUn discorso analogo vale per i microstati (Andorra, Liechtestein, Monaco, San Marino e Vaticano), spesso utilizzati in passato dagli evasori per nascondere i propri averi al Fisco e che hanno deciso di collaborare coi Paesi Ue nella lotta all’evasione.Degni di nota, infine, sono due paradisi fiscali utilizzati spesso dagli operatori della finanza di Londra, territori che sono dipendenze della Corona Britannica, ma che non fanno parte del Regno Unito: l’isola di Man e le isole del Canale (Jersey e Guernsey). Gli ultimi grandi scandaliNegli ultimi quattro anni sono scoppiati due grandi scandali che hanno fatto accendere di nuovo i riflettori sul fenomeno dell’evasione fiscale da parte delle multinazionali, di politici, personaggi dello sport e vip: Luxleaks e Panama Papers.

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Pubblicato il: 20 Luglio 2017

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