
Si chiamava Gianna, come una canzone di Rino Gaetano, giocava bene a basket e a tredici anni si sentiva la ragazzina più fortunata del mondo. Non perché avesse un padre bello e famoso – di padri del genere ci si può anche vergognare – ma perché da lui oltre ai cromosomi aveva ereditato la passione. Non capita spesso che un genitore riesca a trasmettere ai figli il proprio «demone».
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