
L’invenzione della fotografia, che oggi compie 180 anni, è la madre occulta della nostra epoca che vive e si sviluppa nella sembianza della realtà fotografica e da ciò che da essa deriva. Senza moralismi, è però necessario prenderne coscienza”. Italo ZannierIn questo 7 gennaio, ma del 1839, il fisico François Jean Dominique Arago, di fronte all’Accademia francese delle scienze, di cui era l’illustre presidente, svelò al mondo l’esistenza concreta e praticabile del primo sistema di produzione di immagini che nella storia dell’umanità facesse a meno del virtuosismo grafico della mano.La fotografia in realtà esisteva già da almeno un decennio, e forse qualcuno l’aveva inventata ancora prima: di sicuro esisteva da molto tempo il “bruciante desiderio” di uno strumento nuovo di riproduzione della realtà, adeguato all’era delle macchine.Non si può parlare di invenzione, nel caso della fotografia (ma vale per tante altre). Piuttosto di una “nuvola” di invenzioni, ciascuno carente da qualche lato, ciascuna imperfetta, ciascuna in attesa di perfezionamento.Se consideriamo inventata la fotografia quando un oggetto lasciò per la prima volta attraverso la luce la sua impronta su una superficie, creando una immagine riconoscibile, allora forse fu inventata da Thomas Wedgwood e Humphrey Davy nei primissimi anni dell’Ottocento: ma quell’immagine di foglie svanì in pochi secondi, annerendosi tutta alla luce.Se invece consideriamo inventata la fotografia quando quella impronta cominciò a restare stabile, allora l’inventore della fotografia fu il celebre chimico John Herschel, a cui nessuno incredibilmente aveva chiesto mai nulla, e che reinventò il procedimento, completo di fissaggio, in un pomeriggio.Insomma quello che festeggiamo il 7 gennaio è solo l’anniversario di uno svelamento, di una ufficializzazione, sostanzialmente una cerimonia di Stato. Il momento in cui, dopo che alcune decine di inventori più o meno all’insaputa uno dell’altro si erano arrabattati in quella ricerca, uno di loro vinse alla lotteria della storia.In realtà festeggiamo una nazionalizzazione, non un’invenzione. Pochi mesi dopo, infatti, lo stato francese perfezionò quel che Arago aveva già in testa: acquistò i diritti di quella invenzione meravigliosa (pagando una pensione a Daguerre e una al figlio dello sfortunato Joseph Nicéphore Niépce, suo socio, morto prima di vedersi riconosiuti gli sforzi) e la regalò al mondo.Con la non marginale eccezione dell’Inghilterra, dove zitto zitto Jean-François Mandé Daguerre si procurò un brevetto di esclusiva, forse per ripicca contro il suo rivale pretendente inventore William Henry Fox Talbot (eh ma se non avevi almeno quattro nomi non ti lasciavano entrare, nella storia della fotografia?).Ma anche questo litigioso parto genellare fu un pro bono malum, visto che i fotografi d’oltremanica furono così spinti a scegliere il procedimento del loro compatriota, il procedimento negativo-positivo che non solo ha tenuto banco per un secolo e mezzo almeno, ma ha aperto alla fotografia lo sterminato campo della riproducibilità tecnica, senza la quale il dagherrotipo sarebbe rimasto un prezioso gioiellino privato.Fu una rivoluzione antropologica, storica, sociale, economica.
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