È da salutare con favore l’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in tema di assegno divorzile, volto a mitigare gli effetti delle precedenti sentenze che sembravano aver irrimediabilmente segnato il tramonto del diritto alla conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.Si tratta di una decisione annunciata, anche in ragione del contrasto giurisprudenziale che si era venuto a creare dopo che la c.d. sentenza Grilli aveva affermato come fosse sufficiente godere di redditi tali da garantire una propria indipendenza economica per escludere la possibilità di ottenere un assegno divorzile, indipendentemente dal tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.Questo perché la Corte, prendendo atto delle trasformazioni in atto nella società, aveva ritenuto che una volta sciolto il vincolo matrimoniale non dovessero persistere rendite parassitarie in favore dell’ex-coniuge che aveva la possibilità oggettiva di procurarsi redditi sufficienti al proprio mantenimento attraverso un’attività lavorativa o mediante rendite di qualsiasi altra specie.Una linea ritenuta da molti osservatori eccessivamente penalizzante per quelle donne che avevano rinunciato alle proprie ambizioni professionali per dedicarsi, spesso proprio su richiesta del marito, alla cura della casa e dei figli, contribuendo così anche al successo lavorativo del coniuge. In tal modo, infatti, queste donne rischiavano – magari dopo vent’anni di matrimonio ed in un’età avanzata – di trovarsi improvvisamente nella condizione di doversi reinventare una posizione lavorativa, in assenza di un’adeguata formazione professionale ed in un mercato lavorativo recessivo.Proprio per questo le Sezione Unite hanno oggi inteso riequilibrare tale assetto, richiamando i principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo, valorizzando allo stesso tempo il principio di uguaglianza tra il lavoro casalingo e quello professionale.Per cui, nella valutazione ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile, il giudice dovrà tenere conto di molteplici aspetti, come la durata del matrimonio, l’età del coniuge richiedente, il contributo dato da ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e le potenzialità reddituali future.È una sentenza che avrà degli effetti immediati non solo sulle future cause di divorzio, ma anche su tutte quelle richieste di modifica delle condizioni di divorzio, tutt’ora pendenti, che erano state proposte proprio sulla scia della sentenza Grilli con l’intento di eliminare l’assegno divorzile precedentemente riconosciuto.In tale ottica, risulteranno maggiormente tutelate tutte quelle unioni di lunga durata, nelle quali il coniuge “debole” è ormai in un’età avanzata che non le permette di ricollocarsi adeguatamente nel mondo lavorativo.Infatti, l’assegno divorzile assolve a una funzione riequilibratice delle condizioni economiche delle parti che, spesso, diventano sbilanciate dopo la fine del matrimonio a danno del coniuge meno abbiente. In definitiva, quindi, spetterà al giudice esaminare, caso per caso, la sussistenza o meno dei presupposti richiamati dalle Sezioni Unite per vedersi riconosciuto un assegno divorzile.
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